I pareri dei big del settore all’e-meeting di Global real estate institute
La liquidità del settore immobiliare internazionale sembra oggi «una goccia d'acqua su una roccia rovente». Sarà pur vero che i singoli operatori si affrettano a dichiarare, in pubblico, che passato il breve periodo tutto andrà bene. Ed è anche quello che ci auguriamo tutti. Ma, a porte chiuse e a tu per tu, i big player dell’immobiliare sono molto più espliciti e meno tranquilli. Lo dimostrano una serie di e-meeting organizzati dal Gri (Global real estate institute) che in questi giorni difficili ha connesso in conferenze online i più importanti operatori del settore, la cui sintesi, contenuta in un documento riservato, Il Sole 24 Ore è in grado di divulgare.
La buona notizia è che molti operatori si dichiarano ancora moderatamente ottimisti e contano sul fatto che si vedranno segni di ripresa entro 12 mesi, ma solo a determinate condizioni. Condizioni che dipendono in prima battuta dal comportamento dei governi e delle banche sul fronte dei finanziamenti, perché uno scenario di “lenders no lending” (letteralmente prestatori che non prestano) sarebbe fatale. Molti infatti - e questa è la notizia meno buona - si dimenticano di far notare che nella maggior parte dei Paesi sviluppati il ciclo immobiliare è già molto vicino alla fase finale e che una impacciata gestione del Covid-19 a livello finanziario sarebbe il classico colpo di grazia che, anziché lasciar atterrare morbidamente i mercati, li farebbe precipitare in una recessione, che in alcuni casi sarebbe addirittura profonda.
I grandi del real estate però sottolineano anche che sono loro stessi ad avere un’altra parte di grande responsabilità, perché le misure che verranno adottate oggi per rispondere all’emergenza saranno fondamentali nel determinare le reazioni, ed un’eventuale resilienza, domani, alla fine del propagarsi selvaggio del virus sul pianeta.
Quali misure?
Dipende dai settori e qui possiamo fare alcuni esempi pratici. Nel retail è importantissimo mettere in atto fin da ora strategie volte a sostenere gli affittuari degli spazi (quindi i negozi) sia in termini di flessibilità dei canoni che di supporto commerciale. Oppure, nell’alberghiero bisogna approfittare della battuta d’arresto e delle chiusure forzate per anticipare piani di ristrutturazione e ammodernamento.
L’impatto immediato
Per il brevissimo termine molti operatori concordano che non ci siano particolari fattori di ostacolo agli investimenti, almeno fino a quando i timori di recessione economica non vengano supportati da dati certi. Ovviamente i nuovi investimenti vanno valutati con ancora maggior prudenza ma gli investimenti cosiddetti “core” non hanno motivo di soffrire nel brevissimo periodo. Al contrario possiamo aspettarci una frenata di quelli “opportunistici”, che per loro natura hanno senso solo in un’ottica di liquidazione con capital gain nel breve-medio periodo, al contrario di quelli “core” che sono a lungo termine.
A livello geografico la distinzione viene fatta tra i Paesi che hanno sofferenze immediate sull’immobiliare turistico e retail, come l’Italia, la Spagna e il Portogallo e quelli che devono invece fare i conti con la rottura della supply chain dalla Cina e dagli altri Paesi asiatici.
In termini di settori, l’hospitality e il turismo avranno bisogno di piani di emergenza e, come accennato, dovranno approfittare dell’immobilità per rinnovarsi. Nel retail e negli uffici vedremo gli inquilini in affanno, che avranno bisogno di riprendere fiato, e di conseguenza mancati pagamenti dei canoni nell’immediato che però, se ben gestiti, saranno poi archiviati.
Buy, buy or goodbye?
Comprare o vendere, questo sarà il dilemma. Passato il breve periodo, cosa succederà? Su questo punto la comunità internazionale del real estate è divisa. Da un lato ci sono coloro che pronosticano uno scenario di opportunità di acquisto, con opzioni migliori rispetto ad oggi (visto che gli asset di qualità ormai sono quasi spariti, chi li ha li tiene in portafoglio). I player che potranno contare su una buona liquidità probabilmente potranno anche godere di buone opportunità di acquisto in seguito alle crisi derivanti dal corona virus. Dall’altro lato ci sono invece i protagonisti preoccupati dello scenario futuro, soprattutto sul fronte delle strategie che verranno messe in atto dagli investitori istituzionali. Questi - principalmente i fondi pensione e le società assicurative e gli investitori private - mixano il real estate nei propri portafogli e un cambiamento del peso del real estate anche solo di qualche punto percentuale si traduce in flussi enormi di capitali a favore o a sfavore dell’immobiliare. In questo senso un “goodbye” degli istituzionali immetterebbe molta offerta su un mercato alle prese probabilmente con una crisi di liquidità.
Chi perde e chi meno
In termini di settori più colpiti c’è invece una maggiore unità di vedute. A soffrire di più saranno l’hospitality e il turismo, per le ovvie conseguenze dell’isolamento e, più nel lungo termine, di una certa diffidenza ad andare lontano. Poi viene il retail, con centri commerciali e negozi che ovviamente agonizzano in seguito alle chiusure di oggi e, più nel medio periodo, risentiranno dell’inasprirsi della concorrenza delle vendite online. Poi vengono gli uffici: già, non sono immuni, soprattutto perché il Covid-19 ha spalancato i cancelli delle meravigliose opportunità dello smart working. Tornare indietro esattamente al punto di partenza, si sa, è sempre difficile. Quindi gli spazi di lavoro verranno ridotti, saranno privilegiati gli edifici più moderni, ci sarà una guerra al ribasso dei canoni. Il residenziale e la logistica, invece, potrebbero addirittura guadagnare posizioni. Della logistica parliamo nell’altro articolo in questa pagina, ma il residenziale? Ovviamente gli operatori guardano al residenziale come asset class, non al singolo appartamento in affitto in stile italiano. Il residenziale allargato - che comprende student housing, residenze sanitarie, social housing etc. - viene percepito come un investimento anti-ciclico e quindi su questo fronte i player del real estate non manifestano preoccupazioni, anzi.
I portafogli istituzionali
In questo contesto vale la pena soffermarsi sul peso del real estate nei portafogli istituzionali. Per scattare questa fotografia, prendiamo i dati da Inrev (Associazione europea degli investitori in veicoli immobiliari non quotati). Nel suo ultimo report Inrev evidenzia un peso del real estate non quotato pari all’11,3% nei portafogli degli investitori istituzionali a fine 2019, contro l’8,1% del 2012. La tendenza, prima del Covid, era di un ulteriore aumento, con una previsione di 98 miliardi di euro di investimenti nell’immobiliare europeo nel 2020, 20 miliardi in più che nel 2019. Un piccolo spostamento percentualsi traduce in grandi investimenti. Che però oggi sono tutti da rivalutare.
Fonte: Il Sole 24Ore
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